Il Brenta nasce dai laghi di Levico e Caldonazzo, in Trentino. Complessivamente è lungo 174 chilometri. Dopo aver percorso l’ampia Valsugana (il nome deriva dal latino “valle di Ausugum”, l’odierna Borgo), la valle perde la sua ampiezza trasformandosi in un canyon - la Valbrenta - laddove riceve le acque del Cismon. Una decina di km più a valle riceve quella dell’Oliero e di altre sorgenti carsiche per raggiungere la pianura a Bassano del Grappa e da qui procedere a meandri fino a Padova, dove si separa nel ramo orientale - la Riviera del Brenta - che sfocia a Fusina, e quello occidentale che procede artificialmente sul Canale Novissimo fino a Brondolo, a sud di Chioggia, dove sfocia nell’Adriatico.“L’indovinare il corso dei fiumi nel Padovano - scrive J. Filasi nel ‘700 - è quasi come volere spiegare i geroglifici dell’Egitto”. Ciò accade perché i Veneziani intervennero più volte sul fiume deviandolo e diramandolo sia perché non interrasse con i suoi detriti la laguna sia per proteggersi dalle piene.
I ciottoli che possiamo osservare sul greto del fiume sono colorati molto diversamente tra loro e in essi possiamo riconoscere le diverse composizioni minerali in base alla provenienza: i graniti (1) e i porfidi (2) di origini ignee dai Lagorai; la dolomia (3)dalle Pale di San Martino; i calcari bianchi e grigi (4) dall’Altopiano e dal Grappa (sedimentarie), un nodulo di selce (5) e lo gneiss (6) dalla fusione tra le ignee e le sedimentarie.
IL CARSISMO
La Valbrenta è fortemente caratterizzata dal carsismo. La roccia sedimentaria, frutto dei depositi organici che si sono accumulati nel fondo del mare a partire da 200 milioni di anni fa e che si sono compattati formandola, è porosa per il fatto che l’acqua piovana - combinandosi con l’anidride carbonica dell’atmosfera - diventa leggermente acida e dunque corrosiva. Perciò, penetrando nelle fessure, erode la roccia creando vie sotterranee che, incontrando in fondovalle degli strati impermeabili, è costretta ad emergere in superficie creando i fontanazzi.
L'ULTIMA GLACIAZIONE
Negli ultimi milioni di anni sul nostro pianeta si sono alternati periodi temperati e periodi di grande freddo, l’ultimo dei quali terminò circa 20.000 anni fa e scavò la Valbrenta.
Prima di ciò il fiume scorreva ad una quota più alta e all’altezza di Primolano svoltava verso est percorrendo l’attuale Val Belluna per confluire con il Piave.
Il generale miglioramento climatico permise agli ungulati - cinghiali, cervi, stambecchi... - a spostarsi sui pascoli montani seguiti dagli uomini che si cibavano delle loro carni, come dimostrano i resti dell’attività umana rinvenuti tra sui versanti dell’Altopiano dei Sette Comuni.
Infine venne utilizzata per il transito delle greggi che salivano dal Padovano (I millennio aC.) per raggiungere Marcesina e i pascoli montani.
IL BACINO IDROGRAFICO MONTANO
Il bacino idrografico montano del Brenta si estende su un territorio molto vasto e geologicamente vario che comprende parte dei Lagorai, delle Pale di San Martino, dell’Altopiano dei Sette Comuni e del Massiccio del Grappa.
Da qui infatti affluiscono al Brenta il T. Moggio, il T. Maso e il T. Grigno (Trentino), T. Vanoi e il Torrente Cismon (Trentino e Bellunese), e in Veneto le risorgenze dei Fontanazzi a Cismon), dell’Oliero a Valstagna e dei Fontanazzi di Solagna, oltre ad altre piccole “fontane” permanenti o meno, come la Bigonda e il Fontanazzo (Grigno) e il Subiolo (Valstagna).
I TERRAZZAMENTI
Il paesaggio della Valbrenta è caratterizzato dai terrazzamenti che sono ricavati nei ripidi versanti con muri di pietra costruiti a secco poggiati sulla roccia viva. Essi sostengono il terreno formando una sorta di scalino pianeggiante utilizzabile per le coltivazioni. In Valbrenta vi si coltivava soprattutto il tabacco e la canapa. Oggi, come tante altre faticose attività contadine di montagna, l’arte di costruzione dei muri a secco ed della loro manutenzione è andata perdendosi, con un conseguente e progressivo abbandono delle zone rese coltivabili con questa tecnica e favorendo l’instabilità idrogeologica dei versanti. Da qualche anno in Valbrenta si sta cercando di fermarne l’abbandono con iniziative di sensibilizzazione e con il recupero delle superfici a scopo produttivo.